Balbuzie adulti

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Cos’è la balbuzie?

La balbuzie è un disordine del ritmo della parola, nel quale la persona sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono, che hanno carattere di involontarietà” (O.M.S., 1997).

La balbuzie è uno dei più complessi disturbi del linguaggio, non è un fenomeno unico, ma bensì determinato a diversi livelli da fattori sia fisiologici che psicologici, sia genetici che derivanti da variabili ambientali. Tutte queste concause possono giocare un ruolo importante nella balbuzie e può risultare estremamente difficile determinare a priori quale di queste sia quella prevalente.

Quando compare?

La balbuzie esordisce tipicamente nell’infanzia; nel secolo scorso l’età media d’insorgenza era collocata attorno ai 42 mesi (Yairi, 1997) ma studi più recenti collocano l’esordio approssimativamente attorno ai 33 mesi (Yairi e Ambrose, 2013). Il 68% dei casi esordisce entro i 3 anni, ma il 95% dei bambini con balbuzie manifesta il disturbo entro i 48 mesi (Yairi e Ambrose, 2005). Questo è un periodo altamente critico per le abilità linguistiche, cognitive e motorie del bambino, poiché sono interessate da un rapido processo di maturazione e sviluppo.

C’è una componente ereditaria?

La balbuzie ha una forte componente ereditaria (Yairi & Ambrose, 2004), che contribuisce a rendere più vulnerabile le strutture nervose centrali deputate alla coordinazione motoria nel meccanismo di articolazione della parola. Tra i fattori predisponenti endogeni, i più importanti sono: familiarità e altri condizionamenti genetici, aspetti neurologici, psicolinguistici e neuromediatoriali.
A modificare la predisposizione data dall’ereditarietà, danno un grande contributo i fattori scatenanti esogeni. L’ambiente familiare in cui il bambino cresce e acquisisce il linguaggio ha un ruolo di primaria importanza nello sviluppo del disturbo, poiché è spesso sede di conflittualità comunicativa, affettiva ed educativa.

La variabilità nella balbuzie

Una caratteristica costante della balbuzie è la sua variabilità. La gravità varia da persona a persona e anche nello stesso soggetto da condizione a condizione. Vi sono, infatti, situazioni comuni in cui le persone che balbettano presentano una buona fluenza verbale e la balbuzie appare meno grave, e situazioni in cui sembra che la balbuzie si aggravi (Baretter, 2005).

Le peculiarità delle fluttuazioni della fluenza sono legate alle caratteristiche del contesto comunicativo e dell’interlocutore: il balbuziente è meno fluente in momenti di stress, nel rapporto con interlocutori importanti e quando gli venga richiesto di parlare meglio.
I pazienti che balbettano costituiscono un gruppo estremamente eterogeneo perché la balbuzie deriva dalla diversa combinazione di fattori concausali. La pianificazione dell’intervento deve prevedere, quando possibile, il coinvolgimento dei diversi membri del “problema” e la manipolazione delle diverse variabili intrinseche al soggetto, quali:

  1. fattori culturali e sistemi di sostegno;
  2. capacità motorie verbali;
  3. temperamento inerente;
  4. ambiente comunicativo;
  5. precedenti esperienze riabilitative;
  6. sviluppo cognitivo ed emotivo;
  7. sviluppo del linguaggio;
  8. patrimonio neurologico.

Epidemiologia

Gli studi condotti durante il secolo scorso sembrano concordare su un’incidenza lifetime di balbuzie approssimativamente del 5%. La ricerca longitudinale di Reilly e colleghi (2009), basata su diagnosi verificate da professionisti e su una vasta popolazione di bambini con un’età prossima all’età di insorgenza della balbuzie, ha messo invece in evidenza che dei 1619 casi indagati, 137 bambini hanno sviluppato un disturbo della fluenza entro i 3 anni di età, cioè l’8,5%.

Le femmine mostrano un esordio mediamente un po’ più precoce (31 mesi vs. 34 mesi) (Mansson, 2000); ma mentre tra gli adulti il rapporto maschi/femmine risulta essere di 4M:1F, in prossimità dell’esordio non si evidenziano differenze statisticamente significative, suggerendo che il fenomeno del recupero spontaneo è più frequente nelle bambine che nei bambini.
(Studio di Yairi e Ambrose, 2013).

Eziologia

La balbuzie è definita come un disturbo multifattoriale correlato a una dimensione emotivo-relazionale. Dal punto di vista eziopatogenetico non è quindi possibile, ancora oggi, concludere per un’ipotesi unitaria (Schindler).

Esiste accordo fra gli autori della presenza di tre gruppi di fattori obbligatoriamente presenti nell’insorgenza e nel mantenimento della balbuzie:

  • fattori predisponenti endogeni;
  • fattori esogeni scatenanti/aggravanti;
  • condizionamenti secondari a reazione affettiva.

La balbuzie ha una forte componente ereditaria (Yairi & Ambrose, 2004), che contribuisce a rendere più vulnerabile le strutture nervose centrali deputate alla coordinazione motoria nel meccanismo di articolazione della parola. Tra i fattori predisponenti endogeni, i più importanti sono: familiarità e altri condizionamenti genetici, aspetti neurologici, psicolinguistici e neuromediatoriali.

A modificare la predisposizione data dall’ereditarietà, danno un grande contributo i fattori scatenanti esogeni. L’ambiente familiare in cui il bambino cresce e acquisisce il linguaggio ha un ruolo di primaria importanza nello sviluppo del disturbo, poiché è spesso sede di conflittualità comunicativa, affettiva ed educativa. Non tutti i bambini che vivono uno stato di conflitto intra od extra familiari diventano però balbuzienti e ciò conferma l’importanza dei fattori endogeni.

Evoluzione, fattori prognostici e di rischio cronicità

È di estrema importanza rilevare gli indici o fattori prognostici primari, secondari e altri che ci possano aiutare a individuare precocemente i soggetti che svilupperanno una balbuzie cronica. Gli antecedenti familiari costituiscono uno dei predittori di rischio che hanno un peso elevato per la prognosi del disturbo (Bloodstein e Ratner, 2008). Bisogna ricordare, tuttavia, che una storia positiva, di per sé non è sufficiente: è il suo pattern a essere rilevante.

Gli indici predittivi di balbuzie cronica possono essere differenziati in fattori prognostici primari, secondari e altri fattori (Yairi e Ambrose, 2005).

Tra i fattori prognostici primari si ricordano:

  • storia familiare di balbuzie;
  • genere: maschio o femmina;
  • età d’insorgenza;
  • evoluzione temporale delle SLD (disfluenze tipo balbuzie);
  • tempo trascorso dall’insorgenza del disturbo;
  • quantità di unità ripetute e intervalli silenti;
  • prolungamenti e blocchi.

I fattori secondari pongono attenzione su:

  • gravità della balbuzie;
  • movimenti secondari della testa e del collo;
  • abilità fonologiche;
  • abilità di linguaggio espressivo;
  • caratteristiche acustiche.

Se quanto riportato nella seconda colonna corrisponde a quanto rilevato nel paziente, si appone una croce nella terza colonna. Con una sola croce il rischio di cronicità risulta lieve; due/tre croci il rischio di cronicità è moderato; con quattro o più croci il rischio di cronicità è elevato.

Basandosi sui tassi d’incidenza (5%) e prevalenza (1%) comunemente riportati in letteratura, la percentuale di remissione spontanea si colloca attorno all’80% (4casi su 5), con un tasso di persistenza pari al 20% (1/5). Le ricerche più recenti indicano invece percentuali più elevate di casi in cui il recupero avviene senza che sia necessario un intervento terapeutico (Yairi e Ambrose, 2013).

Se è vero che la percentuale di nuovi casi (incidenza) è attorno all’8,5% (Reilly et al., 2009) e la prevalenza si abbassa fino allo 0,72% (Craig e colleghi, 2002) allora il fenomeno della remissione spontanea è ancora più ampio, toccando il 91% dei casi. La prognosi è quindi più favorevole nel lungo termine, nonostante la percentuale d’incidenza dell’8,5% indichi un rischio maggiore di sviluppare un disturbo della fluenza verbale.

Il Counseling Logopedico

In tutte le modalità di approccio logopedico riabilitativo, il counseling familiare è un fattore determinante e necessario per la riuscita della rieducazione. Tale counseling logopedico è articolato in un iter teso a individuare i diversi fattori esterni o aggravanti la disfluenza verbale, che poi sono analizzati ed elaborati.
L’iter del counseling è di ricerca e di definizione degli obiettivi attraverso l’analisi di tutte le variabili del problema; d’identificazione dei comportamenti verbali e non, che possono essere mezzo per conseguire quanto concordato; di stesura di un programma riabilitativo graduale con difficoltà progressiva; di costante verifica dei risultati e monitoraggio da parte del logopedista.

Il counseling associato alla terapia è d’importanza rilevante perché se nei genitori non prevale un sentimento di accettazione, i figli non possono cambiare l’attitudine e i sentimenti negativi in positivi, e ciò condiziona inesorabilmente l’esito della terapia e il mantenimento nel tempo di quanto acquisito.
Le abilità e le funzioni del terapeuta in termini di counseling genitoriale sono:

  • fornire supporto e comprensione;
  • cercare di sganciare i sensi di colpa da un comportamento non produttivo;
  • non fornire troppe informazioni per non “sommergerli”;
  • aiutare i genitori a focalizzarsi sul presente e su cosa possono fare sin da subito per modificare l’interazione comunicativa;
  • essere attenti e sensibili nell’uso di parole,
  • validare le loro emozioni e far si che si esprimano liberamente.

In questo percorso è importante dare il feedback introducendo nuove e più positive interpretazioni dei fatti che promuovano attitudini, emozioni e azioni più sane; dare inoltre riformulazione/ridefinizione e la normalizzazione dello stato d’animo provato, dare un’interpretazione e dei suggerimenti, oltre ad un confronto.

Le informazioni date alle persone che balbettano sulla balbuzie devono essere chiare e precise.
Le nozioni principali comprendono:

  • la natura del disordine: la predisposizione genetica, l’esordio e l’evoluzione in età evolutiva;
  • l’esistenza di fattori “precipitanti” (che portano la balbuzie a uscire in superficie e fattori interni ed esterni al bambino) e fattori di persistenza (fattori cognitivi ed emozionali, e processi di apprendimento);
  • la distinzione tra balbuzie e normale disfluenza, e la possibilità di remissione spontanea con la maturazione psicologica/ neurologica;
  • l’importanza del processo di apprendimento nella terapia come risposta cognitiva, emozionale o comportamentale; la consapevolezza che il bambino ha della balbuzie in modo negativo;
  • la possibilità di sviluppo comportamenti secondari e di persistenza del disturbo.

Scritto e redatto Dott.ssa R.Perosa, con la collaborazione della Dott.ssa E.Ferino, Logopedista (Pd)